La taglia e la rivoluzione della confezione maschile italiana
Negli anni ’50 l’introduzione del concetto di taglia segnò una svolta epocale sia per l’assetto produttivo delle confezioni di abiti da uomo, che passò da sartoriale a industriale, sia per il look dell’uomo italiano che cominciò a non essere più vincolato alla dicotomia “su misura” – “usato”, che aveva caratterizzato l’abbigliamento maschile di tutto il primo 900.
Fino al secondo dopo guerra, a causa dell’arretratezza industriale dell’Italia post fascista, non esistevano produzioni di abbigliamento confezionato in serie.
Per questo gli uomini italiani si suddividevano tra coloro che, essendo più abbienti, utilizzavano abiti sartoriali su misura e una buona parte di popolazione che, non potendoselo permettere, si vestiva con abiti usati di seconda mano, che una volta immessi nel circuito degli scambi, venivano riciclati e rimaneggiati passando di generazione in generazione.
I primi segni di cambiamento nel modo di concepire il consumo e la produzione dell’abbigliamento incominciarono ad avvertirsi con l’applicazione del “piano Marshall” (1948-1952), quando gli americani cominciarono a diffondere in Europa il sistema di taglie che avevano sviluppato durante la prima guerra mondiale tramite la misurazione delle reclute.
In quegli anni, seguendo l’esempio americano, alcune tra le più importanti imprese del settore tessile abbigliamento tra cui Marzotto (marchio Fuso d’Oro), Lanerossi (marchio Lebole), Miroglio (marchio Vestebene), e Luigi Bianchi (marchio Lubiam) cominciarono a studiare lo sviluppo di sistemi di misurazione delle taglie. Finché, a Torino, il Gruppo Finanziario Tessile (GFT), misurando un campione di popolazione di circa 25.000 persone su tutto il territorio nazionale, sviluppò un sistema di taglie di circa 120 misure che riflettevano fedelmente le caratteristiche fisionomiche della popolazione italiana.
Con questa iniziativa, il GTI diventò il vero pioniere del processo di rinnovamento dell’industria dell’abbigliamento italiana; grazie all’ introduzione del nuovo sistema di taglie fu in grado di parcellizzare e industrializzare il processo produttivo di abiti in varie misure consentendo la diffusione dell’ abito come bene comune: non più su misura ma adatto ad ogni fisicità senza necessita di modellazione e ad un prezzo decisamente più competitivo di quello sartoriale, l’ abito in taglia diventò la divisa del boom economico degli anni ‘60, ‘70 ed ‘80.
Ringraziamo le aziende In.Co. S.p.a., Forall confezioni SPA e Corneliani per averci ospitate dandoci la possibilità di approfondire logiche e dinamiche della confezione industriale.
In the 1950s, the introduction of the concept of size marked an epochal shift both for the menswear production, which went from tailoring to industrial production, and for the Italian man look who began to be no longer bounded to the "tailor made" - "used" dichotomy.
Up to second post war period, due to the industrial tension of post-Fascism periode, in Italy there was no commercial apparel production. For this reason, italian men were divided among those who, being more affluent, used tailor-made suits and a the large part of the population that, being unable to afford the sartorial product, dressed in second-hand clothes.
The first significant change in the clothing industry happened when, with the application of the "Marshall Plan" (1948-1952), the Americans spread in Europe the size system that they had developed measuring the recruits of the First World War. In those years, following the American example, some of the most important textile clothing companies including Marzotto (Fuso d'Oro), Lanerossi (Lebole brand), Miroglio (Vestebene brand), and Luigi Bianchi (Lubiam brand) tried to developed a size measuring systems. Up to when the Textile Financial Group (GFT), measuring a population sample of around 25,000 people across the country, developed a size system of about 120 measures that faithfully reflected the physiognomic characteristics of the Italian population.
With this initiative, the GTI became the true pioneer of the renewing process of the Italian clothing industry; and thanks to the introduction of the new size system, it was possible to distribute and industrialize the clothing productive process allowing the diffusion of the man suit as a common good: no longer tailor-made but suitable for any physicality without need for modeling and with much more competitive price than tailoring, the dress in size became the uniform of the economic boom of the '60s,' 70s and '80s.
A special thank to In.Co. S.p.a., Forall confezioni SPA e Corneliani for giving us the chance of studying logics and dinamics of the industrial clothing industry